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Arnaldo Alberti

Intervista al settimanale Opinione Liberale

Locarno, 25.04.2016




OL. Da cosa ha origine il romanzo Gente di Brissago? Quando è stato concepito?

A. Avevo quattordici anni quando, con la famiglia, siamo partiti da Brissago per trasferirci a Locarno. Lasciare il proprio paese, anche nella dimensione di un trasferimento all’interno di una piccola provincia, dà sofferenza che si nasconde, o si rimuove, ricorrendo all’illusione che la città di destinazione è qualcosa di sorprendente e meraviglioso. Invece le meraviglie erano proprio quelle nel paese che abbandonavo i cui ricordi si erano sedimentati nella memoria in quattordici anni di vita. L’accumulazione, anche quella inconscia, dei ricordi mitici, accompagnati dalla magia delle emozioni, nelle analisi dell’età adulta si è trasformata in quadri più precisi e le immagini si sono ordinate nella forma del racconto.

OL. La mola incompiuta del mulino, rimasta sul greto del torrente della Madonna di Ponte, è il simbolo di una ferita che non si rimargina? Rappresenta la sofferenza per l’abbandono della terra dove si avevano le radici?

A. La mola è il filo conduttore delle prime due parti del romanzo. Rappresenta la vita caratterizzata da un continuo sentimento nostalgico, non tanto per il proprio villaggio perduto, ma per ciò che partendo non si è potuto fare per il paese dove si è nati. E’ questa la sostanza dello sradicamento che oggi, confrontati col problema dei migranti, dovrebbe farci riflettere. Il paese lasciato, anche se si ritorna, non si ritrova più. E’ cambiata Brissago e sono mutato io stesso. La dinamica e le trasformazioni delle cose e delle persone non ha lasciato quasi più niente che coincide con l’idea originale che mi ero fatta del paese.

OL. I personaggi che appaiono sulla scena da dove provengono?

A. A quindici anni avevo già letto tutto Verga, gran parte delle opere di Tolstoi, di Dostojewski, di Dickens, di Viktor Hugo e di Zola. Ogni romanzo mi aiutava a capire l’origine e l’essenza del pensiero, mi apriva la coscienza e dava un significato al discorrere che sentivo. Il docente, a scuola, il prete, che leggeva le sacre scritture in chiesa, integravano la mia formazione sentimentale. A trent’anni, quando ho cominciato a scrivere il romanzo, avevo aggiunto ai classici che ho elencato, gli americani della prima metà del secolo scorso, portati in Italia e tradotti nel dopoguerra da Fernanda Pivano. Ernst Heminguay, John Dos Passos, Tornton Wilder, Arthur Miller e soprattutto William Faulkner che ho amato appassionatamente, hanno rappresentato un periodo felice per la letteratura americana. Il riferimento ai classici della letteratura universale è stato decisivo per la creazione di personaggi che mi sono stati vicini come persone reali ma che riuscivo a capire solo con la mediazione di ciò che avevo letto. Inoltre, per definire il costume dei secoli scorsi, mi è stato d’aiuto quanto scritto da Virgilio Gilardoni a proposito degli statuti medievali di Brissago, su un quaderno dell’Archivio storico apparso nel 1978.

OL. Gli autori che qui citi, e il periodo storico in cui sono vissuti, fanno riemergere le grandi correnti di pensiero che proponevano l’operare e il battersi per il riscatto degli umili?

A. Se si riconosce lo storicismo come una lenta maturazione che porta la società ad agire secondo una precisa logica di sviluppo, allora partendo dal sorgere della coscienza nel periodo della classicità greca, soffermandosi sui testi cristiani, ripartire per arrivare all’illuminismo e agli ideali di libertà, uguaglianza e soprattutto di fratellanza e concludere con un marxismo d’innegabile valore culturale, è presente una costante volontà di riscatto degli umili e dei perdenti. Tuttavia, paradossalmente, non sono gli umili che hanno la necessità di riscattarsi, ma i prepotenti e i tracotanti. Nei tempi della mia gioventù, quando l’impero immaginario più che reale era l’Austria, poi con l’avvento del nazismo la Germania, la Confederazione era profondamente anti imperiale. Oggi siamo parte di un impero. Stiamo al fianco di chi promuove i ricchi che diventano sempre più ricchi e disprezziamo gli immigrati, i poveri e gli umili.

OL. Carlo Borromeo è criticato aspramente nel romanzo. Lei si considera un autore anticlericale?

A. La prima versione del romanzo è stata scritta mezzo secolo fa. Ho aspettato cinquant’anni prima di pubblicarlo proprio perché è il libro più importante che ho scritto. Doveva essere un “bel libro”. La prova d’essere riuscito del mio intento la ebbi lo scorso 8 aprile, quando al Brenscino il romanzo fu presentato dal filosofo Fabio Merlini che esordì affermando: “Gente di Brissago” è il più bel libro che ho letto negli ultimi due anni” Non riporto questa frase per vanità ma per provare l’incompatibilità fra un’affermazione di un generico anticlericalismo e l’essenza profonda e fondante di questa mia opera. Non sono credente, tuttavia riconosco alle religioni, in particolare a quella cristiana, un alto valore culturale, testimoniato da testi d’incontestabile pregio letterario, da opere d’arte sublimi e da una musica d’altissima qualità. Tuttavia distinguo fra una religione strumento ed espressione di potere, come fu la cattolica per secoli, ed una fede che si riferisce al significato etimologico del termine “religio” che indica il legame tra l’uomo e la divinità. Chi crede dovrebbe escludere la presa in ostaggio di qualsiasi divinità per soddisfare intenzioni o progetti di prevaricazione. La “santita”, in particolare per ciò che riguarda Carlo Borromeo, è un velo messo dall’istituto della Chiesa per nascondere l’uomo, impedire di svelarlo e ridurlo a una condizione umana. La “santità” autentica, che si esprime ad esempio in Francesco d’Assisi o nello squisito poeta Giovanni della Croce, autore del Cantico spirituale e della Notte oscura dell’anima, è rarissima. Detto questo e nell’epoca odierna in cui regna un pontefice che ha preso il nome di Francesco e vive coerentemente l’esperienza del santo di Assisi, l’anticlericalismo ottocentesco non ha più alcun senso.

OL. Qual’ è l’insegnamento di un romanzo che si muove tra storia e cronaca?

A. Come qualsiasi opera d’arte, un romanzo non ha né lo scopo, né l’intenzione d’insegnare qualcosa. La musica, la pittura, la buona architettura non insegnano niente di concreto ma mettono la persona in uno stato d’animo favorevole alla percezione di ciò che è utile per conseguire il bello e il buono. Sono d’accordo con Nelson Goodmann quando afferma che le scoperte della scienza e quelle dell’arte sono molto simili. Ne consegue che le illuminazioni della scienza e quelle dell’arte sono apparentate, perciò è assurda la convinzione che l’arte sia solo intrattenimento.

OL. Che valenza ha nella narrazione l’affiorare della cultura islamica?

A. Le ragazze d’oriente, arrivate a Brissago, rappresentano il caso, l’imprevisto insondabile che toglie tante possibilità all’uomo e alla donna di disporre del futuro e di controllarlo. Le ragazze islamiche, sane e fiorenti, non sono accettate nel paese. Resta tuttavia per sempre a Brissago Baldrolbudur, morta di peste e sepolta nella Valle dove è stato edificato il Sacro Monte. Il Moscovita, mecenate di Brissago, negli scavi per erigere le mura della chiesa, riscopre, dopo due secoli, i resti della schiava araba, letteralmente ricoperti di gioielli che vende a Istambul e con il ricavato paga tutto il complesso sacro edificato. La metafora è chiara: non sempre chi si arroga il merito dell’edificazione di un’opera paga lui di persona. Spesso i soldi provengono, per vie sconosciute ed impreviste, da luoghi misteriosi e insondabili.

OL. Lei festeggia gli 80 anni con la pubblicazione di un libro. Quale è il compito dello scrittore? Quali sono le parole chiave, che sintetizzano il romanzo.

A. Compito dello scrittore è quello di testimoniare e valutare, con la ragione e il buon senso, ciò che ha vissuto. Le parole chiave che meglio riepilogano il romanzo sono: amore e potere.

 

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